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La striscia di sabbia

Anno: 2016
Genere: Racconti di genere fantastico visionario
Pagine: 186
ISBN: 978-8863211764
Edito da: Pioda Imaging Editore

L’automa

Quando il Presidente del tribunale speciale, dopo uno sbrigativo e brutale interrogatorio, lo condannò senza appello a non occuparsi di filosofia per almeno dieci anni avvertendolo che se avesse disobbedito la condanna sarebbe stata raddoppiata, il vecchio prof. Falceus si strinse nelle spalle come se non avesse capito e sorrise mesto… non avrebbero mica potuto impedirgli di pensare e dieci anni per un filosofo passano presto.
Cominciò a preoccuparsi quando, nel rientrare a casa, trovò sulla porta alcuni gendarmi con lunghi soprabiti di cuoio nero, che arrivavano quasi alle caviglie… c’era puzza di cuoio bagnato e di sudore… uno di loro che aveva l’aria di essere il capo, anche se nulla, né gradi né altro, nella divisa lo distingueva dagli altri, gli consegnò un mezzo foglio di carta spiegazzato pieno di timbri e subito dopo, mentre lui osservava quel foglio stampato fitto, fitto, si introdusse in casa sua seguito da una squadra di sei facchini vestiti di tela grezza, olivastra, che sotto l’occhio attento dei poliziotti cominciarono a riempire metodicamente grossi scatoloni di cartone con tutti i suoi libri… non appena uno scatolone era pieno veniva portato via e caricato su un lercio camioncino fermo sotto casa con il retro accostato letteralmente alla porta di ingresso… i facchini non si limitarono a prelevare soltanto i libri di filosofia, tra i quali c’erano alcuni rarissimi, antichi esemplari, ma asportarono con accanita accuratezza anche tutti i libri di letteratura e persino tre vecchi atlanti di geografia, portarono via anche tutti i suoi appunti, notes, agende e quant’altro fosse costituito da carta stampata o scritta a mano.
Il professore si ritrovò, per la prima volta nella sua vita, in una casa assolutamente priva di libri… l’unica cosa che in quel momento gli era rimasta da leggere era il foglietto bisunto che il capo della squadra rimozione libri gli aveva consegnato… dovette usare una lente di ingrandimento per decifrare il testo tanto erano minuscoli e sbiaditi i caratteri… lesse con fatica ansiosa e finalmente capì… la condanna prevedeva che lui non potesse leggere qualunque tipo di libro per almeno dieci anni… i libri confiscati non sarebbero stati restituiti nemmeno ad eventuali eredi… gli era vietato leggere o comunque possedere persino le pubblicazioni del partito e la biografia del capo supremo che pure per legge doveva essere presente in tutte le case almeno in una copia, non poteva nemmeno scrivere… ogni infrazione, anche la più irrilevante, che so una poesia ermetica di due parole o la lista della spesa, sarebbe stata punita con altri dieci anni di quella che ormai cominciava a capire essere una orribile tortura.
Non poteva leggere, non poteva scrivere, poteva pensare è vero ma lui amava scrivere e soprattutto leggere e poi i pensieri sono della stessa natura dei sogni e come i sogni tendono a svanire… invidiava la memoria che un tempo possedevano i sapienti della tradizione orale e gli aedi che riuscivano a tenere a mente intere epopee di dei ed eroi… tutti coloro che riuscivano a ricordare senza bisogno di scrivere… lui non era in grado, anche a causa dell’età, lui aveva bisogno di scrivere e meditare a lungo su ciò che aveva scritto… e poi come imparare a memoria senza un testo da leggere?… c’erano libri che aveva letto e riletto innumerevoli volte… e che ora non aveva nemmeno più la possibilità di aprire… perduti per sempre… c’erano libri che teneva sul suo comodino e che rileggeva come in un rito prima di dormire e ora tutto era vuoto… il comodino mai stato tanto spazioso… la pila di libri aveva lasciato la sua impronta sul ripiano… la cosa che più gli dava angoscia erano le enormi librerie assolutamente vuote… i ripiani incurvati dal peso dei libri ed ora coperti di polvere.
L’orrore della sua situazione lo lasciò interdetto per parecchi giorni… il tedio delle sue giornate era aggravato dalle visite quotidiane del capo dei gendarmi che erano venuti a prelevare i libri e che ora aveva il compito di controllare che lui non si procurasse qualche libro o peggio si mettesse a scrivere… si presentava ogni giorno verso le dodici, sempre con quella sua uniforme di cuoio nero che puzzava di cane bagnato e girava per la casa come fosse il padrone con l’occhio clinico di chi è abituato a cogliere i più piccoli indizi… era facile per lui capire che non c’erano state infrazioni… i ripiani vuoti, la scrivania deserta, niente carta per scrivere e nemmeno una pagina da leggere… il professore che giaceva a letto in uno stato di abbandono vegetativo… l’unica cosa che poteva leggere e rileggere era quel foglietto pieno di microscopici caratteri, c’era riportato tutto il testo della sua condanna e lui non potendo leggere altro lo lesse tante di quelle volta da impararlo presto a memoria… a volte la notte restava ore ed ore con gli occhi sbarrati nel buio ed allora i caratteri piccolissimi del testo si mettevano a danzare sul soffitto dove si infrangevano, si inseguivano e si raggiungevano mischiandosi sino a diventare un’unica grande lettera, una specie di runa incomprensibile, ed esplodevano poi in cascate luminose come fuochi d’artificio.
Quasi per un anno cercò di comporre dei testi leggibili spostando con l’immaginazione i caratteri ma era impossibile farli stare al loro posto e andare a rileggerli… per cui spesso accendeva la luce e rileggeva a lungo lentamente e per l’ennesima volta il testo della sua condanna… non riusciva nemmeno a capire bene le accuse che gli erano state mosse… con tutti quegli omissis… una cosa era certa la sua filosofia e soprattutto un libro che aveva scritto in gioventù avevano irritato i censori del regime. A volte, sempre più di rado, sognava di leggere caratteri opachi e confusi, ma il sogno si interrompeva sempre brutalmente… il libro gli veniva strappato o peggio il terrore del reiterarsi della sua condanna lo spingeva a gettarlo via.
Non poteva fare nessuna delle cose che più gli piacevano… nulla… gli erano invece consentiti tutti i lavori manuali… qualunque lavoro manuale… il regime riteneva che il lavoro manuale fosse estremamente rieducativo… si ricordò di una sua antica passione… da giovane amava costruire piccoli automi, era diventato anche abbastanza bravo e da qualche parte c’erano ancora i suoi strumenti… passò quasi una settimana a rimettere ordine nel caos di polvere, rottami e ruggine che nei lunghi anni in cui il suo unico amore era stata la filosofia aveva invaso il laboratorio abbandonato.
Si era ai primi di gennaio del secondo anno di condanna… il gendarme venuto a controllare trovò il professore nel suo laboratorio, chino su uno strumento di precisione mentre con un martelletto modellava a sbalzo su di un minuscolo incudine una lamina di rame rossiccio… cosa fate professore?… fece il gendarme… vi vedo meglio, state molto meglio… lui alzò lentamente lo sguardo dalla lente munita di una luce molto forte con la quale seguiva il lavoro… bene… disse… sto bene… cosa fa professore?… una parte del carapace di una aragosta… una bella aragosta… un automa… un tempo fabbricavo automi… niente di impegnativo qualche semplice movimento… feci un ragno in grado di camminare per la stanza… uno scarabeo che apriva le elitre, ronzava e dopo un breve volo cozzava sulla parete… e un granchio… il granchio era proprio bello… ma il gendarme non lo ascoltava più e guardava l’orologio… allora posso andare professore… mi sembra tutto a posto… tutto a posto… ripeté il professore… vedrete che bella aragosta.
Il giorno dopo il gendarme si presentò con l’aria soddisfatta di chi sa fare il proprio mestiere e lo mette a disposizione della comunità… ho parlato con il Presidente del tribunale del vostro lavoro e… il professore lo guardò preoccupato… non ve lo vieta, state tranquillo, potete fare tutti gli automi che volete per tutto il tempo che volete… il gendarme si accomodò sulla poltrona davanti al tavolo di lavoro del professore con l’aria di uno che non intende andarsene tanto presto… il professore continuò imperterrito a modellare al tornio un pezzo della zampa destra dell’aragosta… e cosa farà questa aragosta?… chiese il gendarme… muoverà le zampe, ma per il resto è una sorpresa… sorrise mesto il professore… vedrete vi stupirà… ma quel granchio di cui parlavate che fine ha poi fatto?… oh lo donai all’allora rettore dell’università… quello che… sì quello… quello che si suicidò quando gli vietarono di insegnare?… dicono che morì nel campo di lavoro… ma no era stato liberato e si suicidò perché non voleva lavorare nelle officine idrauliche… disse il gendarme con l’aria di chi è bene informato… era un grande professore di lettere antiche… concluse il professore… il gendarme alzò le spalle… e il granchio?… chiese… sequestrato, penso con tutti i suoi beni… sospirò il professore… peccato avrei voluto vederlo… vedrete l’aragosta, questa non sarà da meno… in quella l’aragosta, alla quale mancava ancora l’ultima zampa posteriore sinistra ed una parte del carapace, per cui si poteva vedere bene il complesso meccanismo interno, ebbe uno scatto… sferragliò, fece un mezzo giro, intonò il classico ticchettio dell’aragosta e si fermò con la zampa l’anteriore destra a mezz’aria… il gendarme rimase a bocca aperta… il mio bambino impazzirebbe di gioia ad averne una… disse… ne farò una anche per lui, vi assicuro… disse il professore… voglio fare una serie di aragoste, una per ciascuno di voi.
Il gendarme, oramai convinto che il professore fosse completamente guarito dalla mania di leggere e scrivere, non si presentò per qualche giorno, d’altronde il lavoro di controllo era tanto ed il professore, dati i tempi, non era il suo unico assistito.
Quando si ripresentò trovò il professore in poltrona intento a fumare una lunga pipa olandese di terracotta bianca… non sapevo che fumaste… anche questo è un ricordo di gioventù, una cosa di prima della filosofia… il professore sbuffò una bianca nuvola di fumo profumato al legno di sandalo e disse… volete vedere l’aragosta? è pronta e funzionante… l’aragosta rossiccia e dorata campeggiava in mezzo al tavolo da lavoro il cui fondo era stato verniciato di bianco con una densa mano di cementite… il professore la prese delicatamente con due dita e la rovesciò sul dorso, premette con il pollice un punto preciso del carapace tra le zampe posteriori e l’aragosta cominciò il suo sommesso ticchettio… il professore la poggiò sul tavolo e lei rizzò le antenne… poi si mosse sulle punte delle zampe come se fosse sul fondo del mare e come se danzasse tra le correnti sui fondali sabbiosi… attraversò dapprima veloce poi sempre più lenta circa mezzo tavolo… infine si fermò con la zampa anteriore destra sollevata, stette immobile qualche secondo poi la abbassò di colpo sul fondo bianco del tavolo ed incise, con un movimento armonioso ma sicuro, nel legno, solcando la cementite… grazia… vi prego Presidente… grazia… il gendarme che sino a quel punto era rimasto assorto dallo spettacolo dei movimenti eleganti dell’aragosta e dalla sua bellezza… ringhiò… e no, e no, voi scrivete… scrivete, professore mi avete tradito… la mia fiducia professore… io mi sono fidato e voi… scrivete… il professore sorrise… non io, non io, è l’aragosta che scrive, è l’automa… e chiede la grazia per me, vi prego portatela al Presidente, mostrategliela fatela scrivere per me e forse lui mi concederà la grazia… non so se… ma sì che potete, se lo farete io costruirò un piccolo cane o un’aragosta o un granchio insomma ciò che volete per il vostro bambino, nessuno avrà un giocattolo come il suo in tutto il paese… comunque… borbottò il gendarme… devo sequestrare l’aragosta scrivana e portarla al Presidente che dovrà decidere se raddoppiare la vostra pena o meno… fece quindi per prendere l’aragosta ma quella fece uno scarto indietro e restò in una posizione difensiva con entrambe le zampe anteriori sollevate… il suo ticchettio si fece più intenso… il professore la prese da dietro la rovesciò e premette il pollice nello stesso punto pigiando il quale l’aveva attivata, si sentì come la lontana vibrazione di un gong e fu come se all’aragosta fosse stata tolta la vita.
Il professore la mise in un sacchetto di tela e la consegnò al gendarme… portatela al Presidente… disse… come è vostro dovere fare e vedrete che cambierà idea su di me… il gendarme gettò lo sguardo sul tavolo la parola grazia era incisa in bella grafia due volte profondamente nel legno che era scheggiato come dalla punta di un coltello… e questo lavoro lo farà sulla scrivania del Presidente? su quella bellissima scrivania di ebano… é vero, dimenticavo, portate anche questo… disse il professore… estraendo dal cassetto un cilindro di metallo dello stesso colore dell’aragosta… era un cilindro che pareva di ottone, basso ed obeso come un calamaio, con un bel tappo a vite lavorato a sbalzo… ecco… disse il professore… quando metterete l’aragosta davanti al Presidente, aprirete questo contenitore e l’automa scriverà la sua richiesta su un qualunque foglio di carta che io non ho qui per mostrarvelo ma che sicuramente il Presidente avrà in abbondanza… il gendarme si insospettì… e no… disse… è troppo comodo, rischio solo io in questo gioco… verrete voi con me e di fronte al presidente farete scrivere l’aragosta e se farà qualche danno sarà peggio per voi… sarà peggio per me… soggiunse il professore… comincio a pensare che mi raddoppierà la pena… è troppo tardi ormai… disse il gendarme… vi si era detto di non scrivere in nessun modo, il regime non tollera certi trucchi.
Il professore dovette salire su un carretto trainato da un mulo, faceva parte dell’umiliazione, la gente per strada stava a capo chino e qualcuno si levava il cappello fingendo di salutare il vicino… il gendarme e tre dei suoi scherani procedevano a piedi, due davanti e due dietro… il gendarme nel sacchetto teneva l’aragosta scrivana e il calamaio, portava il sacchetto tutto tronfio come avesse preso chissà quale trofeo.
Giunsero al tribunale… il Presidente era stato già informato dell’accaduto ed era furibondo, accolse il professore con un ghigno accomodandosi il piccolo berretto rosso sangue sulla nuca… vediamo… vediamo… vi si era ordinato di non scrivere in nessun modo e invece voi… il professore ebbe un guizzo e si raddrizzò in tutta la sia persona, dopo tanti anni passati con la schiena curva non ricordava di essere così alto… non scrive, vostro onore, l’aragosta non scrive… il gendarme mente… non si è mai vista un’aragosta scrivere… basta… fece il Presidente bloccando le proteste del gendarme… facciamola finita, ho parecchi casi come il vostro e peggio del vostro oggi, questo paese è pieno di poeti e come sapete anche la poesia è vietata… come la filosofia… portatemi l’automa scrivano o aragosta che sia… il gendarme si mosse rapido, con fare servile, l’aragosta fu posta davanti al Presidente sopra un gran foglio e rimase immobile anche dopo che fu spinto il carapace tra le zampe posteriori… poi il gendarme si ricordò del calamaio… il professore cupo continuava a ripetere… non scrive, vedete, non scrive vi dico… il gendarme svitò il tappo del calamaio… l’aragosta ebbe un piccolo scatto, rizzò le antenne e iniziò a ticchettare… il gendarme mise il calamaio davanti all’aragosta che sollevò lentamente la zampa destra, intinse la punta della zampa, restò un po’ così con la zampa alzata mentre il liquido nero ed oleoso gocciolava sul foglio… una goccia… due gocce… non scrive… gridò… con tutta la sua forza il professore, l’aragosta ebbe una contrazione nervosa, ritirò la coda, arrotolò il carapace come una molla… e saltò alla gola del Presidente conficcandovi ferocemente entrambe le lunghe zampe anteriori… prima che potessero staccarla aveva attraversato da parte a parte la carotide del Presidente… quando riuscirono ad estrarre le zampe, cosa che non fu né facile né breve, il Presidente morì strabuzzando gli occhi e con un solo singulto… mentre lo portavano via il vecchio professor Falceus rideva selvaggiamente e gridava… vi avevo detto che l’aragosta non scriveva… io ve lo avevo detto.

I personaggi dei racconti di Galassi si inoltrano nei dedali dell’inconscio ove a volte si smarriscono, a volte soccombono ai giganteschi mostri di specchi che lo abitano, altre ancora scoprono tracce di senso e vie d’uscita per volare con ali di cera nei cieli della realizzazione del sé.
Sandro Montanari